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domenica 26 dicembre 2010

FemmINIMONDO, una raccolta che nessuno vorrebbe mai leggere

Ogni poesia contenuta nell'antologia racconta un fatto di cronaca avvenuto nell’ultimo anno, relativo ad omicidi e violenze sulle donne.
Elisa Candida (è un nome d’arte) è autrice di una raccolta di poesie ancora inedita dal titolo “FemmINIMONDO”. Sono testi taglienti che nessuno vorrebbe mai leggere. In alcune si possono ritrovare nomi e date, stralci di articoli di giornale, in altre eloquenti versi. La raccolta verrà edita da una piccola casa editrice di Roma che ha dato la sua disponibilità per la pubblicazione. Per l’introduzione al libro la poetessa ha pensato ad un spazio aperto, un luogo di scrittura fatto per ritrovarsi e dire basta. Per questo si è rivolta alla Casa delle Donne di Bologna e di Roma “perché l’introduzione non diventasse un bel cappello sulla mia testa ma […] perché con il coinvolgimento di altre donne, artiste, scrittrici, avvocati, politici, psicologhe, casalinghe, madri, sorelle, amanti, Femminimondo diventi un luogo d’incontro, di scambio, un luogo del parlare. Perché non resti un libro./ Non ho scritto queste poesie per tenerle sulla mensola,/ ma perché finiscano nelle mani nelle pieghe/ dove la pelle si rompe e tira./ Perché faccia rumore e strappi/ E scopra/ Perché c’è bisogno di parlarne.”

venerdì 24 dicembre 2010

Madri singole


La notizia è questa: la clinica Mangiagalli ha reso noto che dal 2008 il numero delle donne che alla nascita del figlio non dichiarano il nome del padre è triplicato passando da 474 agli oltre mille di oggi. E’ un dato assai rilevante che testimonia di profondi mutamenti nella cultura e nei comportamenti delle donne. Anche se molto varie possono essere le motivazioni che ne stanno all’origine, non c’è dubbio che la decisione di fare un figlio da sole è frutto di forza e determinazione personale, come anche di un contesto non più ostile a questa scelta. E di questo non si può che essere contente. Ma alcuni commenti che si sono letti ieri sui quotidiani mi lasciano francamente sgomenta, come l’intervista di Eva Cantarella sulla Repubblica. Commentando il dato della Mangiagalli - una “esaltazione dell’indipendenza femminile”- alla domanda se, pertanto, l’uomo diventa superfluo, risponde testualmente “L’uomo è lo strumento per arrivare alla maternità…la donna può fare da sola…È la donna che regge tutto”.
Condensata in poche righe viene fissata un’idea che è il puro e semplice rovesciamento di quello che secoli o millenni si è pensato, detto e scritto delle donne, un semplice strumento procreativo, al servizio della famiglia e dello stato patriarcali.
E come ovvio corollario del degradare dell’altro a “cosa”, la donna si erge a soggetto onnipotente, puro e semplice rispecchiamento di quella figura di Uomo prometeico, che sulla negazione della duplicità costitutiva ed originaria interna al genere ha pensato di vincere ogni limite. Io di questa immagine di donna onnipotente che può tutto e che può fare a meno dell’Altro non solo ho timore, ma penso che sia la parodia della libertà femminile. Il pensiero della differenza sessuale apre alla libertà delle donne in misura che riconosce che il soggetto non è uno ma due e che questo essere due obbliga a pensarci e a pensare il mondo secondo una prospettiva che non pretende di essere tutto, ma include la relazione. E’ una sfida che impegna il pensiero e la pratica, ma credo che ne valga la pena. E non mi pare che ne valga altrettanto l’obiettivo di farcela tutta “da sole”, che per certi aspetti più che un obiettivo rispecchia desolanti dati di realtà.

giovedì 23 dicembre 2010




E adesso cosa faranno gli studenti?, ci siamo chieste in questi giorni.
Gli studenti hanno fatto bene.
Non hanno raccolto le provocazioni di Gasparri né il travaso di bile di La Russa.
A piazzale Aldo Moro offrono cornetti caldi e caffè Borghetti. Ci sono ricercatori, matricole, fuori corso. C’è un padre con una figlia. Dietro lo striscione “Quelli del 14 dicembre”, un ragazzo issa un fumogeno rosso, più fiaccola carnevalesca che oggetto contundente.
Si diceva che avrebbero organizzato eventi improvvisi, flash mob, performance. Chiedo, ma nessuno ne sa niente. Sul percorso del corteo c’è assoluto riserbo. Una protesta all’insegna del sorpresismo (copyright Corrado Guzzanti) che porta verso la periferia, tra le rotaie dello Scalo San Lorenzo, le vie del Pigneto, la tangenziale est, la bretella della A24, fino a che la meta si fa chiara: si va all’Aquila!
Poi l’allegra brigata fa ritorno alla Sapienza.
Da due anni gli studenti scendono in piazza, e non solo contro il decreto Gelmini. Protestano per dire che per loro non c’è futuro, non c’è lavoro, non c’è welfare, non ci sarà pensione. I giornalisti la chiamano “generazione senza”. Veramente, i loro cugini più grandi sono messi anche peggio. I giornalisti li chiamano “precari”. Una parola abusata, che vuol dire tutto per non risolvere niente.
Gli studenti, oggi, sono qui anche per loro: per i milioni di “male occupati”, per i non-contrattualizzati, per chi lavora in nero, per le donne del sud (una su tre senza lavoro) che al futuro nemmeno ci pensano più, perché è il presente quello che manca.
Grazie ragazze, grazie ragazzi!

mercoledì 22 dicembre 2010

Vignetta di Ilaria Ravarino

martedì 21 dicembre 2010

Lo scandalo della violenza. Lettera aperta sui fatti del 14 dicembre


Cara Elisabetta,
mentre ti scrivo Gasparri invoca arresti preventivi tra gli intellettuali e i fiancheggiatori, paventando possibili omicidi nelle manifestazioni studentesche prossime venture.
Mentre scrivo, Gasparri suggerisce ai genitori italiani di stare in guardia, di non mandare i figli alle manifestazioni perché potrebbe scapparci il morto.
Gasparri spera che gli italiani leggano tra le righe: quel morto potrebbe essere tuo figlio.
Se non fosse criminale, direi che è patetico. Sa di stantio. Un linguaggio terroristico vintage, gaglioffo e cialtrone (soprattutto quando si impappina nel minacciare un nuovo “7 aprile”: era il 1979, non il 1978), ma non per questo meno spregevole.
La sua è tattica (strategia è parola grossa per Gasparri) della tensione.
Mi chiedo però: vogliamo valutare il peso di queste parole o le derubrichiamo come una, l’ennesima, esternazione fuori luogo?
Ancora: siamo in grado di rispondere - come cittadini, come genitori, come manifestanti, come persone dotate di buon senso - alle conseguenze che queste parole possono scatenare o vogliamo indignarci solo quando la violenza è portata dal basso?
Le parole di Gasparri sono una provocazione scoperta. Hanno l’obiettivo di mettere tutti nell’attesa di una contromossa. Di suscitarla, la violenza. Non è un caso se l’opinione pubblica attende e si chiede: cosa faranno ora gli studenti?

Qualche settimana fa, quando le proteste studentesche raccoglievano grande consenso, a Exit Curzio Maltese sosteneva che la cosa più rilevante di questo bel movimento pacifico era la presenza delle ragazze, delle donne, in posizione non ancillare. Donne pensanti. Donne in lotta. Donne che prendono la parola. Questa, per lui, era la maggiore novità. Il dato inconfutabile da opporre a chi leggeva nei cortei studenteschi solo vecchi slogan e stanchi cliché.
Nel giro di pochi giorni, l’attenzione è stata portata altrove. Il consenso spazzato via. Da simbolo di un’Italia che vuole risollevarsi e guardare al futuro, i giovani sono diventati di colpo dei terroristi in erba. Possibile?
Dopo i fatti del 14, a colpirmi è la radicalizzazione dei punti di vista, prima ancora che della piazza: i “buoni” che condannano la violenza e i “cattivi” che la difenderebbero. In realtà, a voler essere onesti, gli studenti non hanno difeso la violenza: hanno semplicemente spiegato l’origine di quel momento violento, mettendolo in relazione ad altri episodi avvenuti a Parigi, Londra, Atene.
Gli studenti non vogliono sdoganare la violenza - questa è la mia impressione - ma mettere sul piatto gli elementi che sfuggono quando l’analisi è condotta solo in vitro. Gli studenti ci suggeriscono e ci ricordano, se non ce ne fosse bisogno, che la classe politica (sinistra compresa) non è più, in alcun modo, capace di dragare il disagio. Questo è quello che ci dicono gli studenti.
Ovvio che, stando così le cose, è più comodo per tutti polarizzare la realtà - buoni e cattivi, pompieri e incendiari, studenti e poliziotti - piuttosto che fermarsi a riflettere sul fallimento della democrazia parlamentare, dei partiti e della loro rappresentatività sociale.
In questo momento non mi preme ribadire che sono contro la violenza – voglio darlo per scontato – quanto piuttosto fermarmi a riflettere. Ora è il momento di farlo, ora e non domani, prima che la radicalizzazione (e con essa, la semplificazione) diventi pensiero comune. Se ci lasciamo convincere che le proteste di piazza sono possibili scenari di omicidio, quell'omicidio prima o poi accade. Si chiama profezia autoavverante.
Non ci è più permesso di vivere in apnea, come invece abbiamo fatto finora, in attesa della caduta di Berlusconi. Se oggi perfino un tiepido come Napolitano arriva a dire che bisogna leggere attentamente il messaggio portato da questa generazione, che in parte è anche la mia generazione, significa che gli strumenti di lettura possono essere obsoleti tanto quanto gli slogan. Con una piccola ma non trascurabile differenza: questi giovani non usano vecchie parole d’ordine, non brandiscono la P38, non carezzano la violenza ma ne sono, paradossalmente, giocati e travolti, una volta che la forza delle parole e delle proteste pacifiche si è rivelata insufficiente.
E non meravigliamoci, dunque, se prima di morire soffocati – quando nessuno giunge in soccorso, perché nessuno ti ha mai ascoltato – quello che esce dalla bocca non è una parola educata ma un urlo disperato e incomprensibile. Un rantolo.
Roma, 20 dicembre 2010

sabato 18 dicembre 2010

"Libere" verso Sud!

L'atto unico di Cristina Comencini andrà in scena il 9 gennaio a Cosenza, Teatro dell'Acquario, e il 10 gennaio a Locri, Palazzo della Cultura.

Con:
Anna Carabetta e Maria Marino
Regia: Dora Ricca

Per le date degli spettacoli e gli altri appuntamenti di Di Nuovo consulta la nostra pagina Rendez Vous!



mercoledì 15 dicembre 2010

Dove va la politica delle/per le donne?


Riceviamo e pubblichiamo volentieri questa riflessione, dopo il 25 novembre:

Sarà perchè da un pò di tempo per me è più facile vedere il bicchiere mezzo vuoto, sarà che quando ti appassioni ad una battaglia e ci lavori, vorresti avere grandi risultati, ma il giorno dopo il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza alle donne, ho riflettuto a lungo sugli avvenimenti successi in città. Non so perchè ma quest'anno si è deciso di non fare la manifestazione nazionale (mi piacerebbe sapere anche chi l'ha deciso), noi nel Lazio ci siamo concentrati sulla battaglia contro la proposta di legge regionale che vuole smantellare i consultori familiari pubblici con una violenza delle Istituzioni, contro noi donne, pari solo a quelle dei regimi fascisti ed abbiamo realizzato il concentramento al mattino sotto la Regione. Eravamo abbastanza ma non tante come ci si poteva aspettare, eravamo donne di tutte le età, dalle giovanissime alle più anziane, aderenti al centro sinistra, politicamente varie e trasversali, così come le donne sanno fare da sempre. Altro che vetero femministe residuali ed autoreferenziali come hanno dichiarato le vetuste e medievali Rauti e Tarzia, venute scorrettamente a provocare la nostra manifestazione!!! Voglio ringraziare tutti iTestimonial che hanno aderito alle nostre iniziative ed in particolare Giovanna Cau, Francesca Comencini, Lidia Ravera e Rosetta Loy che hanno scritto e attivamente partecipato alla protesta. Mi sono chiesta, vista la gravità della situazione del nostro Paese dove le prime a pagare la crisi sono le donne, con la chiusura dei servizi di cura e l'esclusione dal mondo del lavoro, qual'è il motivo della sottovalutazione della situazione da parte dei mass media e da parte della politica (donne e uomini) a cominciare dal Parlamento. Quel poco che si è scritto e che si è detto mi è sembrato un rito funebre dove i problemi veri delle donne sono rimaste sullo sfondo: si è parlato della violenza che subiscono le donne nel mondo, dalle pachistane alle africane, delle infibulazioni effettuate anche in Italia (ne ha parlato anche la Bonino da Fazio e nelle iniziative con la Carfagna) ma dei problemi delle donne che vivono in Italia, straniere ed italiane, tranne Lidia Ravera (BENISSIMO) e pochi altri, non ne ha parlato nessuno. Care donne cosa aspettiamo ad aprire una vertenza rivolta ai vertici dei partiti politici di centro sinistra, per far sì che il voto dato alle elezioni corrisponda al DOVERE di garantire la presenza nelle liste di un numero ben più alto di donne, in modo da garantire l'effettiva rappresentanza degli interessi e dei bisogni di noi donne, quando si votano gli atti nelle Istituzioni e nelle Amministrazioni pubbliche? Quando è che la piantiamo di sprecare il voto scegliendo uomini da eleggere perch'è sono più forti e quindi il nostro voto sembra un investimento più concreto, o peggio votando donne "scendiletto" serve degli uomini in politica? Si può votare ma si può anche MOTIVATAMENTE non votare. E se diventasse una battaglia vera, non credete che saremmo prese in altra considerazione dai segretari dei partiti quando scelgono i candidati da mettere in lista, o quando scrivono le leggi elettorali, o quando escludono le donne dalle liste oppure scelgono di candidare donne che non portano neanche il voto della loro famiglia? La mancata partecipazione al voto fino a che non ci sia una effettiva inversione di rotta (CONCRETA) è per me il solo modo di fare sul serio la nostra parte. Se metà degli elettori rifiuta di votare, forse la politica potrà cambiare, riacquistare serietà e credibilità. Infine penso che questo discorso dovrà riguardare anche gli uomini che, seppur minoritari, hanno votato donna perchè credono che la politica praticata da più donne serie e competenti come lo dovrebbero eesere tutti gli eletti, potrà garantire dignità e concretezza alle Istituzioni del nostro Paese.
(Luisa Laurelli)

martedì 14 dicembre 2010

Messaggia la sicurezza sul lavoro

Al via la sesta edizione del Concorso di sms al femminile organizzato da Umbria Donne e Lavoro.

Scopo del concorso è quello di contribuire a dare un rilievo territoriale ed istituzionale al tema della prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, valorizzando “il punto di vista delle donne”, in un’ ottica volutamente di genere. Quest'anno per realizzare un'azione di sensibilizzazione ancora più capillare sul tema della prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, si è voluto privilegiare l'utilizzo del "messaggio" sia web che tramite cellulare. Tale mezzo di espressione, per la sua elevata diffusione, costituisce oramai uno strumento di relazione di uso comune. Il "messaggino" è entrato a far parte della comunicazione tra giovani e meno giovani e può rappresentare un modo alternativo per testimoniare il proprio pensiero, il proprio punto di vista. L'attualità degli infortuni lavorativi, delle tecnopatie e delle morti bianche impone a tutti una riflessione attenta sulla necessità di garantire maggiore prevenzione nei luoghi di lavoro. Pertanto, attraverso l'utilizzo di nuovi strumenti di comunicazione, si intende attirare l'interesse di un numero sempre più ampio di persone, per promuovere la riflessione su tale problematica e contribuire al cambiamento di una mentalità spesso fatalista e superficiale nonché talvolta spregiudicata. L'iniziativa è rivolta in particolare alle donne, protagoniste dirette o indirette, di questi drammi. Insieme a loro vogliamo proporre una riflessione a tutti, dal singolo alle Istituzioni, affinché ciascuno per il proprio ruolo, possa concorrere alla diffusione della cultura della prevenzione e della sicurezza nei luoghi di lavoro, perché si adottino comportamenti corretti ed adeguati nella realtà che ci circonda.
Il concorso consiste nella composizione di una frase o di una breve riflessione, sotto forma di messaggio telefonico o web, sul tema della sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, della lunghezza massima di 140 caratteri. Tutti le frasi dovranno pervenire mediante il sito www.donneelavoro.it, sezione “messaggi” o tramite SMS inviato al numero 392 45 04 355 (al costo di un normale SMS secondo il proprio piano tariffario). I messaggi dovranno pervenire entro e non oltre l’8 febbraio 2011. Il montepremi messo in palio per i vincitori è di euro 1600. I finalisti del concorso saranno decretati da una giuria specializzata.

Modena - giornata di studio sulla rappresentazione della donna nel linguaggio quotidiano, delle istituzioni e dei media

Un importante appuntamento da non perdere a Modena il 15 dicembre

Presso l’Università di Modena e Reggio Emilia (Facoltà di Lettere e Filosofia - Dipartimento di Studi Linguistici sulla Testualità e la Traduzione) mercoledì 15 dicembre si terrà una giornata di studio sul tema del linguaggio con gli interventi, le adesioni e le testimonianze di: Marina Bondi (Preside Facoltà di Lettere e Filosofia), Marco Cipolloni (Direttore Dipartimento di Studi Linguistici sulla Testualità e la Traduzione), Marcella Nordi (Assessora PO Comune di Modena), Monica Saladini (Presidente Commissione PO Università Modena e RE), Ivana Palandri (Commissione di genere Facoltà di Lettere), Donatella Baraldi (Centro Documentazione Donna di Modena), Rosanna Galli (UDI), Giovanna Zanolini (Associazione Donne e Giustizia), Daniela Ricci (Coordinamento giornaliste di Modena), Alessandra Centis (Rappresentanza in Italia della Commissione Europea), Tiziana Bartolini (noidonne), Monia Azzalini (Osservatorio di Pavia), Loredana Cornero (RAI, Presidente Gruppo Donne COPEAM), Giuliana Giusti (Università di Venezia). La relazione plenaria e l’apertura dei lavori è affidata a Cecilia Robustelli (Università di Modena e Reggio Emilia) ideatrice dell’iniziativa, che ha affidato alle studentesse del primo anno LCE (Università di Modena e Reggio Emilia) un tema che è un impegno e un invito. Ecco il titolo: Apri gli occhi! La giornata di analisi e riflessione è dedicata al tema della rappresentazione della donna nel linguaggio quotidiano, nei media e nelle istituzioni. Si tratta del primo di una serie di appuntamenti previsti nell'ambito delle attività del Dipartimento di Studi Linguistici sulla Testualità e la Traduzione dell'Ateneo con attenzione specifica alla dimensione di genere.

Ma maternità è una malattia?


La maternità è un problema anche a Montecitorio come ci racconta la scrittrice, politica ed intellettuale Giancarla Codrignani su www.noidonne.org.


Tre parlamentari sono prossime alla maternità ed anche a vivere numerose limitazioni. Montecitorio (e ancor più il Senato) è fabbricato per escludere le donne. Pensate che le toilettes dei maschi sono a piano terra, ristrutturate anni fa con marmi del Portogallo; quelle femminili sono, dietro l'aula, vi si accede per una scaletta ricurva e sono ambientalmente spartane. Quando la Camera è chiusa, le signore o trovano appena il sapone o addirittura la porta chiusa (una volta, il giorno della chiusura estiva, esausta e abbruttita, non vedevo l'ora di arrivare in aeroporto e dovevo assolutamente lavarmi i capelli: bagni chiusi. Andai nel salone dei maschi, dove i barbieri non mi volevano ammettere...). Che le donne non siano legittimate come "genere" lo dimostra la maternità nelle istituzioni. La mia "compagna di banco" ebbe una figlia: la gravidanza passò nella più rigorosa indifferenza (ovviamente le colleghe si informavano). Un giorno - o stato era ormai evidente dietro l'abito che cadeva lento - le stavo chiedendo come stava e un compagno che aveva sentito si fermò per chiedere se era ammalata: richiesto di vedere l'evidenza, tranquillamente rispose che pensava a una nuova moda... Senza parole, vero?... Quello che sta capitando a Bongiorno, Cosenza e Mogherini fa comprendere che siamo ovunque delle cattive lavoratrici: in Parlamento come in fabbrica la gravidanza è "una malattia". Necessaria, dunque, una legge per le donne nelle istituzioni (anche a Bologna Simona Lembi in Provincia non trovò alcuna norma specifica); ma soprattutto non pensiamo che si tratti di una "leggina". Si tratta di fare "cultura di genere" di donne che non possono essere così omologate da rinnegare che la nascita di bambini e bambine è evento politico - cultrale prima che sociale e non separabile dalla specificità della madre, che va tutelata nel corpo - da non mettere a rischio - e nei diritti conseguenti al debito che la società intera contrae con la donna per l'immissione di un nuovo, una nuova presenza umana. Mai più si dica malattia ad una gravidanza.

mercoledì 8 dicembre 2010

Maternità Precarie: perché in Italia per tenersi il lavoro bisogna nascondere il pancione

Storie di giovani madri con lavori a termine: licenziamento, blocco della carriera, solitudine, mortificazione. Nessun sostegno pubblico alla maternità per loro: "il welfare in Italia sono i nonni, gli amici, i parenti". Il reportage Vanguard realizzato da Martina Proietti e Giovanni Pompili per Current TV (in onda stasera alle 21.10) racconta la vita di tante donne "di età compresa tra i 25 e i 38 anni, felici per l'arrivo di un bimbo ma estremamente fragili dal punto di vista lavorativo", in un paese in cui "una donna in gravidanza è un peso e la maternità viene considerata alla stregua di una malattia".

E' questa la realtà che si cela dietro ai numeri: in Italia la percentuale di donne occupate è di 12 punti inferiore alla media europea e allo stesso tempo il tasso di natalità è tra i più bassi in Europa. Insomma, le donne italiane lavorano meno e fanno meno figli. Ecco, in sintesi, la prova di un doppio fallimento della politica.
Maternità e lavoro, come abbiamo scritto nel nostro documento e nel nostro programma, sono - insieme alla violenza sulle donne - le grandi emergenze del nostro paese.

Il reportage è un'ulteriore conferma (casomai ce ne fosse bisogno) dell'urgenza di ricreare come donne una grande forza collettiva.



giovedì 2 dicembre 2010

Assemblea pubblica a Torino

Anche le donne di Torino si mobilitano in difesa dei consultori. E Di Nuovo c'è.

mercoledì 1 dicembre 2010

Io resto in Italia!

Le grandi donne per cui scegliamo di restare in questo paese. Un bellissimo video realizzato dalle amiche della rete Filomena